Il vicepresidente della provincia di Verona, il leghista
Fabio Venturi, qualche giorno fa ha disegnato un teorico patto fra la città
scaligera e Vicenza in grado di far concorrenza agli interessi che uniscono
Padova, Treviso e Venezia.
Di fronte alla domanda, “ma a Vicenza c’è un sindaco di
centrosinistra…” Venturi ha risposto pronto: “Sì, ma Variati è un sindaco bravo
e stimato in maniera bipartisan. Sarebbe un ottimo alleato per una politica
fatta di cose concrete”.
Nel frattempo il sindaco Flavio Tosi, altro esponente
della Lega Nord, sostiene l’alleanza fra Vicenza e Verona, subito appoggiato
dallo stesso Variati.
Si tratta di intelligenze che si coniugano sul piano
amministrativo, lasciando da parte sterili e superati schemi di appartenenza:
perché stupirsene?
E’ evidente che l’elettorato sta valutando in maniera
sempre più attenta l’evolversi del quadro amministrativo, alla luce di una
crisi economica sempre più pressante, della mancata attuazione di norme
federaliste, del superamento degli steccati ideologici.
Negli anni a venire la situazione non è destinata a
migliorare: il debito pubblico italiano è talmente ingente che non sono
ipotizzabili scenari diversi da quelli attuali fatti di pesanti tagli ai
bilanci comunali. Di fronte a questo tipo di situazione i buoni amministratori
devono riporre le armi della demagogia fine a se stessa e cercare le forme di
collaborazione fra Enti diversi e fra pubblico e privato.
Concordo quindi con un’ipotesi di collaborazione sul
piano amministrativo fra le due province occidentali del Veneto, fra i due
comuni capoluoghi e fra le aziende municipalizzate veronese e vicentina.
L’alleanza culturale, economica e sociale fra Venezia,
Padova e Treviso si poggia su fattori geografici e storici che la rendono un
fatto oggettivamente assodato.
Vicenza rischia l’isolamento e nel recente passato questa
solitudine è stata confermata e aggravata dalla totale assenza di una politica
di sinergie fra enti: quando mai, prima di Variati avevamo visto riuniti
attorno allo stesso tavolo i sindaci delle sette province venete?
Quando mai avevamo assistito all’istituzionalizzazione di
un tavolo di confronto fra comuni contermini?
Ovviamente le obiezioni non mancano, in nessuna delle
parti politiche oggi presenti nella nostra realtà e non c’è da stupirsi che non
sia così.
Nel Partito Democratico, ad esempio è aperto da tempo un
dibattito che investe quella che per alcuni è un’eccessiva indipendenza del
Sindaco dalle regole della politica: Variati avrebbe fatto una scelta
amministrativa tout court, ignorando suggerimenti e indicazioni provenienti dal
partito.
Non manca chi ritiene che la rilevanza “ideologica” sia
ancora fondamentale e che fondare la propria azione amministrativa su principi
di parte sia doveroso e necessario.
Condivido invece alcune scelte in questo campo del
Sindaco: nella scelta delle persone reputo che sia fondamentale la competenza e
per niente rilevante l’appartenenza a uno schieramento politico, al punto che
qualcuno, anche di recente, ha pensato di interpretare questa visione come una
logica ad excludendum per i soli iscritti al P.D., barbara semplificazione di
un concetto di per sé inappuntabile.
In altre situazioni, invece, il dibattito interno al PD ha
saputo sviluppare importanti proposte sul piano della mobilità, delle politiche
del sociale, ecc. Ed è questa la strada che io ritengo più
praticabile: un civile confronto sulle idee, un apporto
continuo di proposte che, ovviamente, si basano anche su precisi valori di
riferimento. Il piano della mobilità, ad
esempio, è nato anche grazie alle proposte e ai ragionamenti sviluppatisi
all’interno del PD.
Ovviamente anche gli esponenti vicentini della Lega non
sembrano gradire i ragionamenti che vengono dalla provincia contermine. Ma
viene da pensare che un’opposizione così marcata su tutto poggi non tanto su un
disegno alternativo quanto sulla semplicistica considerazione del dire di no
per partito preso. Faccio alcuni rapidi
esempi: insistere sul tema della sicurezza come centrale
per la città cozza con una realtà che, pur problematica in alcuni aspetti, è
peraltro rassicurante nella generalità dei casi. Ho avuto modo personalmente di
parlare con gli ultimi due questori passati per Vicenza ed entrambi hanno sempre
sostenuto che Vicenza può essere confrontata solo in positivo con la maggior
parte delle città italiane, in quanto a vivibilità e a sicurezza. Nel recente
caso della nomina dei vertici dell'Opera Pia Cordellina, è sembrato che
prevalesse il desiderio di attaccare comunque l’Amministrazione anziché
valutare che Segretario, Consiglio di Amministrazione e Presidenza erano stati
nominati dalla propria parte politica.
Alla luce di queste considerazioni, ben si comprende come a Verona, la
Lega riesca a governare praticamente da sola, e a Vicenza raggiunga percentuali
di consenso contenute e poco indicative.
Non entro nello specifico dell’atteggiamento del PDL
perché già la stampa si occupa tutti i giorni della situazione “confusa” in cui
vive a Vicenza il movimento ex berlusconiano, diviso fra nostalgie e fughe
verso altri lidi.
La sensazione che emerge è quella di una politica
chiaramente in movimento, condizionata da una situazione nazionale difficile, e
che, in periferia, vede premiare la volontà di attuare scelte amministrative
coraggiose e decise, indipendentemente dalla parte politica rappresentata, come
dimostrano le valutazioni che i cittadini danno dei sindaci come Tosi e come
Variati.
Federico Formisano
Capogruppo PD in consiglio Comunale
Nessun commento:
Posta un commento