venerdì 10 agosto 2012

Come eravamo quand'eravamo campioni.

Sintesi della trasmissione IN PIAZZA a TVA

La discussione comincia appunto dalla sparizione a Vicenza dello sport che conta oggi ancora più aggravata dalla retrocessione della squadra di calcio.
Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)ALBERTO CERIONI- Argomento difficilissimo che richiederebbe tanto tempo per spiegare tutto. Questa retrocessione è sicuramente buia e brutta però ne ricordo un'altra con Francesco Farina, in anni in cui non c'era sala stampa, per cui si andava direttamente negli spogliatoi per le interviste; Francesco piangeva a dirotto e mi ricordo ancora questo episodio come un punto di svolta indipendentemente da quanto fatto o non fatto; si vivevano gli spogliatoi, il clima affettivo dei rapporti diretti. Si arrivava al punto che Giussi Farina ti aspettava sulla porta e ti chiedeva dove diavolo eri stato la domenica prima se non ti aveva visto. Era un clima tutto diverso con una società, con una squadra, con una bandiera e con giocatori che erano bandiera della squadra e della società. Ci siamo visti tutti due settimane fa a Insieme per Vincere quando ancora si doveva giocare lo spareggio con l'Empoli: pubblico, gente, umore, sensazioni, una città che è biancorossa dentro e chiede ancora cose comprensibili. Lo stato di questa società è diventato però quello che vediamo e ora bisognerà parlare di futuro, partendo dal concetto che davvero bisogna stare uniti. E anche di carattere sto parlando: a venti minuti dalla fine a Empoli non si dovevano prendere due gol, è stata mancanza di carattere e di voglia di lottare, poca energia...
FEDERICO FORMISANO- Sono stato fortunato come assessore allo sport perché ho vissuto quel momento mentre le cose andavano benissimo e non certo per merito mio: il Vicenza passava dalla C alla A, vinceva la coppa Italia, il basket maschile arrivava in A2, la pallavolo femminile arrivava in serie A vinceva coppa Italia e così via senza dimenticare il basket femminile che aveva già una storia immensa. La nostra provincia forte e industrializzata ha espresso al massimo del fulgore economico grandi manager e grandi sponsor. Un esempio per tutti: la pallacanestro maschile aveva come sostegno Trivellato Carraro Tombel, imprenditori importanti che avevano investito nel basket. La pallavolo aveva Coviello, uno che sa cavare sangue dalle rape e che fece un grande lavoro. Il problema di oggi è che nel momento in cui si è fatta sentire la crisi economica anche lo sport ha cominciato a non reggere più la concorrenza e sono emerse situazioni diverse, estranee al professionismo, dove lo sport viene vissuto più sul piano sociale e crescita dei giovani anziché sul piano economico e del successo agonistico. Il rugby di adesso va in perfetta controtendenza e sta proprio vivendo su un livello più modesto dal punto di vista delle spese e si nuove sul volontariato, sulla non esasperazione dell'agonismo, sul non eccesso dei conti.
Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)UMBERTO NICOLAI- Anch'io vivo lo sport da tanti anni e posso dire che Vicenza continua ad essere numero uno per l'attività scolastica e quella giovanile, siamo i più premiati in Italia per queste attività, stiamo seminando molto bene negli sport individuali. Per quelli di squadra che sono legati a programmazione ma anche a quantità di risorse debbo dire che Vicenza al di là di alcuni personaggi che hanno creduto e lavorato, quei cinque o sei che sappiamo tutti, non c'è mai stato un gran credere nello sport come investimento; Vicenza non ha mai impegnato più di tanto, abbiamo visto la pallamano arrivare e sparire in un attimo, l'hockey on line e la pallacanestro in carrozzina che sono in A. Non altro. Gli altri sport sono decaduti, anche se ora c'è il basket femminile che tenta di ricrescere e la pallavolo che è sparita senza che ci sia stato qualcuno disposto a risollevarla. L'investimento nello sport o è di appassionati che si impegnano per amicizia e comunque come fenomeno isolato, oppure non c'è alternativa, non esiste l'imprenditore tipo Benetton che investe una valanga di denaro nello sport e dallo sport ha però ritorni effettivi e importanti. La maglietta del Benetton rugby è stata per anni la maglietta simbolo della produzione industriale Benetton, un veicolo anche pubblicitario che è andato in tutto il mondo. Il Vicenza l'ho osservato e mi sono scoperto perfino costernato: se avessero giocato come nelle ultime partite non sarebbero mai retrocessi. Ora comunque si deve trovare un nuovo modo di vedere lo sport: purtroppo gran parte della responsabilità è dei grandi manager sportivi che non esistono e dei grandissimi sponsor che siano disposti a investire, oppure enti, banche, eccetera. La Popolare investe nello sport ma da sola non può fare tutto e il resto difatti è puro volontariato. Tutto questo rappresenta un altro aspetto dei ritardi cronici che caratterizzano Vicenza come città? Può anche essere anche perché come nessuno investe nello sport nessuno investe nella cultura: senza una forte volontà del sindaco di Vicenza non avremmo la grande mostra che invece per fortuna avremo. Potremmo parlare anche di Olimpico e di tante altre cose, ma lasciamo perdere. Il fatto è che Vicenza non ha mai pensato in grande...
GIOVANNI ALI'- Dagli anni 90 abbiamo fatto un grosso intervento anche nelle scuole anche se non sempre è stato facile perché il rugby era considerato violento, dove ci si sporca, ci si fa male; ma dopo il 2000 siamo riusciti a entrare come disciplina importante, che porta valori, fa giocare assieme i bambini, gli insegna senza problemi il contatto fisico che per molti è all'inizio un mistero. Insomma, abbiamo fatto e stiamo facendo un lavoro importante che ci ha dato una esperienza formidabile ricordandoci sempre di quell'exploit incredibile del Titanus; ci siamo proposti di avere una base larghissima, partendo dal minirugby, dalla continuità nel tempo, non solo per la prima squadra, ma creando le premesse indispensabili alla prima squadra. Guardate che in serie A ci siamo arrivati anche con in formazione sei ragazzi dell'under 20 tutti nostri, come dire che dal minirugby è stata trovata la giusta strada per arrivare a dare un contributo diretto e prezioso all'attività agonistica. Ora con la società e con Luigi Battistolli che seguendo suo figlio si è innamorato del rugby lavoriamo al futuro e speriamo di approfondire sempre più questa avventura, ora che abbiamo anche il campo. Tra l'altro come minirugby abbiamo come sponsor la Popolare che ci dà una grande mano. L'altro aspetto importante è il progetto. Costruito 15 anni fa: rappresentava dei valori in cui crediamo, le cose che volevamo dire e comunicare e soprattutto il punto di arrivo che intravvedevamo. Nel 2005 dovevamo andare in serie B e avere il minirugby come punto di riferimento per il Veneto e per il settore nazionale e ci siamo arrivati. Dopo il 2005 abbiamo identificato il 2015 come punto di arrivo per la serie A e ci siamo arrivati tre anni prima aggiungendoci però anche il terzo posto dell'under 16 nel campionato nazionale di categoria.
Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)FEDERICO FORMISANO- Tutto vero e si tratta di un fenomeno da analizzare bene. Non possiamo dimenticare che tante altre società di Vicenza erano strutturate alla stessa maniera, ad esempio il basket femminile che ha vinto campionati ma avendo squadre di basket in tutta la città. Quando bisognava dividere i tempi delle palestre la pallacanestro femminile faceva la voce grossa perché effettivamente aveva squadre dappertutto. Nel momento un cui è crollata tutto è ovviamente cambiato. Una conseguenza perfino scontata. Il calcio sta pagando anche altro: aveva lavorato molto più sul vivaio che poi ha abbandonato per scelta ed è andato a cercare i giocatori altrove mentre si scorporava dalla società tutta la parte dei primi calci, dei pulcini eccetera. È andato via il volontariato, la base dell'attività che produce risultati più in alto a distanza di tempo.
ALBERTO CERIONI- Bisogna dar merito a uomini come Antonio Concato, che ha speso una vita per il basket portando le ragazze perfino in ferie, quelle che non potevano permetterselo. E ha pagato di tasca sua sempre. È un modo per ricordare che appunto il volontariato personale è la chiave di volta di tante situazioni. Il basket femminile di Vicenza ha vinto tutto e sempre anche nelle categorie giovanili, con tre o quattro formazioni dalle allieve alle juniores che dominavano il campo nazionale mentre la prima squadra dominava il campo internazionale oltre che vincere scudetti. La domanda che mi faccio è la seguente: perché dietro a Antonio Concato non c'è rimasto niente?
UMBERTO NICOLAI- Un fenomeno importante sono le società di quartiere che debbono continuare a fare da motorino, il problema nasce quando si verticizza tutto e si disperde la base. Vorrei ricordare che a Vicenza in questo momento ogni settimana si giocano 220 ore di basket e 182 ore di pallavolo. Cosa viene prodotto? Sono contento del movimento giovanile come assessore allo sport perché abbiamo numeri importanti, ma nella realtà ci accorgiamo che non abbiamo più il vertice, quello che ha ora il rugby e ha anche l'atletica che è riuscita a fare il miracolo di andare a correre per il titolo nazionale con la categoria dei 16 anni, costruita con un movimento di dimensione provinciale. Qual è la crisi? Secondo me la crisi è nei dirigenti che mancano e nel basso livello degli allenatori: grande praticantato, ma arrivati al salto di qualità lacune vistose. Lo lasciano capire proprio esempi come il rugby e l'atletica. I grandi fenomeni extra come il Famila di oggi sono dovuti a persone singole, come Marcello Cestaro: il giorno che si stanca che cosa ne sarà del basket di Schio, così come del calcio di Padova?
GIOVANNI ALI'- Una scelta buona è quella di non accentrare e permettere invece che nascano realtà diverse e parallele; a Longare abbiamo una prima realtà strutturata autonomamente anche nella scuola, così come ai Ferrovieri, come con l'Altovicentino Rugby o a San Pio X. Tanti debbono praticare, questo è l'obiettivo. E poi c'è il messaggio dello sport che non è solo agonismo, ma anche impegno sociale. I nostri ragazzi sono impegnati in forme diverse, con doposcuola, con incontri, con lezioni affidate ai giocatori, alla collaborazione con aziende come la Zambon per avere la vicinanza dei manager che fanno stage per far capire gli aspetti gestionali oltre a quelli puramente sportivi. Questi sono valori importanti perché coinvolgono e amalgamano l'ambiente ed è proprio questo uno degli obiettivi che ci siamo proposti e stiamo inseguendo con molta convinzione sicuri che sia costruttivo per la crescita di chi pratica il nostro sport e anche dello stesso livello dello sport che ci interessa.
Ma questo fattore morale a quanti altri sport si può applicare? Quali altri sport sopportano tranquillamente avvenimenti anomali come appunto il rugby? Succederebbe nel calcio che da parte sua ha fallito il terzo tempo in modo clamoroso?
Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)ALBERTO CERIONI- Parlando di dirigenza, come diceva prima Nicolai, è chiaro che i contributi allo sport sono scarsi. Il terzo tempo è stato imposto al calcio e questo stride molto considerato che il rispetto delle regole dovrebbe essere acquisito e non forzato. Il calcio è un mondo mediatico dove tutti ti aspettano al varco e dove quindi si crea una tensione personale e di gruppo che travolge. Il protagonismo va combattuto insegnando ai ragazzi ad essere generosi con il gruppo e con quello che fanno. Se andiamo indietro nel tempo fino all'epoca Farina e anche un po' dopo sono stati prodotti fior di giocatori anche dal settore giovanile, fino a Rabito, a Paolo Zanetti, a Maggio. Dopo non è uscito più niente. Se fai scuole di calcio dove si pratica l'esclusione per metodo, guardando solo al risultato, tenendo fuori i ragazzini meno dotati per agonismo è chiaro che il risultato non lo avrai mai. Toto Rondon me lo spiegava benissimo dicendo anche che se è vero che su un gruppo ci sono pochi talenti, coltivando tutti alla stessa maniera, insegnandogli a giocare uno per l'altro, si otterrebbero grandi risultati. Facendo davvero una squadra che è l'entità che occorre per poter dire di aver fatto bene un certo lavoro. Basta ricordare il Vicenza del Viareggio con Berto Menti allenatore. Quelli erano i riferimenti che tra l'altro sono stati alla base del Vicenza in serie A per quasi trent'anni. Oggi la cultura dei soldi è a senso unico.
FEDERICO FORMISANO- I soldi sono la base, ho un sito dove vengo interpellato da giocatori della categorie inferiori che cercano posto a migliore trattamento economico. Nei dilettanti si fa lo stesso mercato della A e della B con gente che comincia da una parte e finisce anche nel corso della stessa stagione in un'altra società.
UMBERTO NICOLAI- Pensiamo che i ragazzi di vent'anni di quei tempi erano un'altra faccenda rispetto a oggi. I ragazzi anche quelli che non giocano si fanno tutte le loro esperienze, ma è chiaro che rispetto a noi vivono una realtà lontana anni luce. Pensate a uno di vent'anni che viene strapagato con il taglio mentale di un giovane di oggi: si creano dei mostri. Guardate Balotelli che è un grandissimo calciatore ma che sicuramente non è mai stato aiutato a crescere mentalmente; al calcio interessa solo la parte bassa dell'uomo quella che fa gol, non gliene frega niente a nessuno di capire che testa ha un ragazzo. Una volta i giocatori restavano in società anni e anni e rifiutavano di andare al Milan o alla Juventus e così diventavano bandiere. Oggi è impensabile, tutti i ragionamenti seguono altri percorsi, ci sono i procuratori, ci sono gli interessi e qualsiasi ragionamento passa per l'ingaggio e per gli equilibri tra grandi società quando si tratta di spostare un giocatore da un club ad un altro.
ALBERTO CERIONI- Mi ricordo l'agenda di lavoro di Donina che non stava fermo un minuto nella giornata. Lo spiegava lui stesso: valgo poco, se non corro non giocherò mai. E difatti ha corso come un pazzo per anni, poi è arrivato Guidetti e naturalmente è stato sostituito dal valore diverso, però...
Come eravamo quando eravamo campioni (Art. corrente, Pag. 4, Foto generica)UMBERTO NICOLAI- Certo che si rischiava di più e ci si divertiva anche. Ora c'è il giudizio e il giudizio fa paura. Pensate i ragazzi a scuola, quante situazioni drammatiche per un giudizio negativo, per una bocciatura. Alle spalle di un tempo c'erano valori che aiutavano ad autodifendersi mentre la società di oggi tende a creare o i perfetti a tutti i costi oppure quelli che non vanno bene così come sono. Il rugby insegna molto bene questo genere di cose. Dal calcio se ne vanno centinaia di giovani proprio perché dirigenti e allenatori giudicano solo sulla base del gol e non si preoccupano di altro. Prandelli forse rappresenta ancora un tipo di intelligenza che sa gestire il gruppo in modo umano e pensando in positivo.
GIOVANNI ALI'- Il fatto che i ragazzi entrino in crisi per gli insuccessi rafforza ancora di più la nostra tesi secondo cui bisogna avere più di una squadra per ogni categoria,. Nel mini non ci sono selezioni, fino ai 14 anni giocano tutti senza problemi. Dopo si creano più squadre per fascia di età perché tutti devono poter continuare l'attività e la base deve essere il più larga possibile; nell'ultimo concentramento abbiamo messo in campo tre squadre per ogni categoria; salendo dai 14 ai 20 abbiamo due squadre per ciascuna categoria,. Questo dobbiamo fare per salvare la voglia di stare assieme dei ragazzi e senza deluderli.
FEDERICO FORMISANO- Torno al tema del quando eravamo campioni. C'erano i giocatori bandiera che restavano a oltranza: Savoini Volpato Menti Campana Mimmo Di Carlo, Lopez e così via; erano giocatori attaccati alla società e preferivano stare qui. Una delle cose venute a mancare è il riferimento a personaggi di questo genere. Gorlin Pollini e Peruzzo, per tornare alla pallacanestro, sono state tre ragazze che hanno rivestito proprio questo ruolo. Per anni sempre qui e una identificazione vera anche da parte della gente che seguiva il basket. Oggi il Vicenza ha Martinelli che è qui da quattro anni ed è il caso, l'unico, il massimo pensabile attualmente e peraltro paragonabile appena a quelli del tempo passato. Forse l'ultimo da questo punto di vista è stato Schwoch, ma stiamo parlando di un altro caso isolatissimo. E questa è la realtà, non è che si possa cambiarla.

Nessun commento: