domenica 23 maggio 2010

Quarantacinque anni d'attesa

"Non vincete mai...."


Nel 1963 avevo dieci anni: facevo collezione di figurine Panini. Mio papà poliziotto mi accompagnava allo Stadio a vedere il Vicenza. Nel Lanerossi giocavano Luison, Zoppeletto, Savoini, De Marchi, Carantini, Stenti, Menti, Colausig, Vinicio, Campana e Vastola.
In quegli anni però la squadra che andava per la maggiore era l'Inter di Helenio Herrera. Ne divenni tifoso. Se il Vicenza giocava con l'Inter tifavo Vicenza. Altrimenti soffrivo e gioivo per l'Inter che vinceva scudetti a nastro e in Europa la faceva da padrone.
Era l'Inter di Angelo Moratti, di Herrera, di Sarti, Burnich, Facchetti ecc.
Mi piaceva in particolare l'astuzia tattica di Suarez, che lanciava palloni di millimetrica precisione a 40 metri di distanza. Adoravo il sinistro vellutato di Mariolino Corso che batteva punizioni impossibili insaccandole all'incrocio dei pali. Restavo incantato alle finte di Sandro Mazzola, al dribbing ubriacante, a quello scatto nel breve che difficilmente si è visto ancora. Apprezzavo le sgroppate sulle fasce di Jair e di Facchetti, la regia difensiva di Picchi, la tenacia di Guarneri, ecc.
L'Inter vinse la prima Coppa dei Campioni ( e a nessuno veniva lontanamente in mente di chiamarla Champion's league) nel maggio del 1964, battendo il Real Madrid di Amancio, Di Stefano, Puskas e Gento.
L'anno dopo bissò questo risultato battendo a Milano il Benfica di Eusebio, Coluna, Torres, Simoes. Con un gol di Jair che sorprese il portiere Costa Pereira.
Ricordo ancora le immagini sbiadite in bianco e nero di quella gara.
Sembrava che l'Inter potesse iniziare un ciclo magico di successi.
Ed invece l'anno dopo l'Inter venne sconfitto a Mantova e iniziò un periodo abbastanza buio. I tifosi interisti venivano spesso sbeffeggiati per la mancanza di vittorie in campo nazionale (con la sola gioia dello scudetto del 1989, vinto con Trapattoni in panchina e Serena capocannoniere) e in campo internazionale (non bastavano a sminuire gli sbertucciamenti le vittorie nelle Coppe Eufa del 1991, 1994, 1998.)
Quando i tifosi milanisti cantavano "non vincete mai, non vincete mai" mandavamo giù il rospo e speravamo in un futuro migliore.
Nel 1995, nel frattempo, i Moratti tornano alla presidenza della società con Massimo, l'attuale presidente. La nuova dirigenza dedicò molto tempo per ricostruire un ambiente devastato da anni di insuccessi e di errori di conduzione.
Qualcuno cominciò a definire Massimo Moratti la copia sbiadita del padre Angelo, ma lui non demorse. Riportò ad incarichi di responsabilità alcuni dei vecchi giocatori dell'era di suo padre (Suarez, Corso, Mazzola, Facchetti a cui affidò la vicepresidenza). Noi tifosi eravamo impazienti di vedere l'Inter ritornare al successo e sognavamo sopratutto una nuova Coppa Campioni. Ma gli anni scorrevano ineluttabili e privi di soddisfazioni. Moratti pian piano aggiusta la mira: inserisce nel motore dell'Inter personaggi importanti come Oriali, Branca e poi Mancini.
Nel 2006 arriva il primo scudetto (quel del 2005 era un cadeau che non sentivamo più di tanto nostro) e si comincia ad intravvedere la fine del tunnel. Arrivano giocatori importanti, Ibrahimovic, Viera, Stankovic, Cordoba, Materazzi. C'è già il capitano Zanetti, l'uomo vero intorno a cui viene costruita la squadra del miracolo.
Poi arriva Mourinho. E tutti sanno che lui deve sopratutto vincere la Champion, la COPPA DEI CAMPIONI.
Il primo anno vince "solo" lo scudetto! Ma al secondo campionato mette in tiro la "triplete" : il successo in Coppa Italia, in Campionato e in Champion's.
Riesce nell'impresa e regala a noi tifosi la più grande gioia. Ieri sera abbiamo gioito come non mai: ci hanno commosso le lacrime di Zanetti, l'entusiasmo dei tifosi, l'atmosfera incredibile delle strade e delle piazze di tutte le città.
Ho voluto guardare la partita a casa da solo con la mia compagna, ma alle undici non ho resistito, mi sono vestito e sono andato in giro per la città. Nei bar che sono noti ritrovi di interisti, al Rubino, dalla Teresa. Le macchine passavano strombazzando imbandierate nel nero azzurro.
E io pensavo che pochi di quei ragazzi festanti avevano assistito all'ultimo successo di Coppa Campioni.
Quarantacinque anni per tornare a vincere sono tanti, troppi.
In fondo il calcio non è importante e lo sappiamo tutti.
Ma rimanere fedeli ad un ideale e una bandiera è comunque importante. Una piccola modesta lezione di vita è quella di sapere che prima o poi tutto torna: che le soddisfazioni e le gioie possono riapparire anche dopo anni di delusioni.
Sarti, Burnich, Facchetti... Julio Cesar, Maicon, Zanetti...
Sono felice. Anche se è poco...

Federico Formisano

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