sabato 10 gennaio 2009

Al cinema: Sette Anime


Gabriele Muccino, regista italiano e Wilbur Smith, star del cinema di Holliwood, di nuovo assieme nella pellicola “Sette Anime”, accolta con molto scetticismo sulle scene americane. Dopo l’indiscusso successo di “Alla ricerca della Felicità” con un guadagno al botteghino superiore di almeno quattro volte al budget di spesa, Muccino e Smith riprovano con un soggetto sicuramente più impegnativo. Non nascondo che personalmente il film mi abbia colpito: inizialmente ho avuto qualche perplessità nel seguire la storia, ma nel secondo tempo il copione si snoda leggero e Smith ci mette del suo interpretando un ruolo molto intenso e di grande sensibilità.
Consiglio di andare a vedere il film conoscendo almeno a grandi linee la storia che per la verità è molto semplice: Wilbur interpreta il ruolo di una persona distrutta dal rimorso e sopraffatta dal angoscia che decide di suicidarsi attuando un difficile processo di redenzione personale. Lui che è stato il responsabile di un incidente che ha causato la morte dell’amata moglie e di altre sei persone, deve dare tutto sé stesso offrendo ad altrettante persone occasioni per sopravvivere: individua, pertanto, casi gravi di persone ammalate, di donne tormentate da innamorati violenti e le beneficia in tutti i modi possibili per restituire loro la gioia di vivere, quella che lui non riesce più a provare dopo la tragedia che lo ha colpito.
La vicenda è impreziosita, dal rapporto fra Wilbur ed una donna fragile e quasi morente per gravi problemi cardiaci, l’intensa Rosario Dawson che riesce a celare splendidamente la sua sconvolgente bellezza, grazie ad un sapiente trucco che riesce a trasformarla in una figura al tempo stesso ectoplasmatica ed ardente, sofferente e penetrante. Fra i due disperati sorge un rapporto fatto di dialoghi profondi che evidenziano il grande contrasto fra la voglia di vivere di Rosario (“vorrei anche semplicemente poter correre”) e la disperazione insanabile di Wilbur che nel silenzio della sua camera di albergo viene assalito dai demoni dei ricordi e attanagliato dal male di vivere tanto caro alla generazione dei Pavese e dei Montale.
Vince l’amore ma come sacrificio, perché Wilbur non ha alternative e perché Rosario deve comunque sopravvivere, convivendo con i battiti del suo cuore, così come un cieco tornerà a vedere con i suoi occhi, un bambino a superare la malattia con il trapianto di midollo, il fratello con quello del fegato, il vecchio mister di una squadra di Hockey con quello del rene.
Muccino va via agile sulla sceneggiatura di Nieporte; stenta solo un po’ all’inizio dove qualche dubbio attanaglia anche il più attento degli spettatori, ma il finale merita di più di quanto gli americani gli abbiano riconosciuto.
VOTO 8;
Smith 9; Dawson 8,5, Cast 8, sceneggiatura 7,5, regia 8.
Da vedere.
Federico Formisano

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