domenica 16 novembre 2008

Tito Boeri su Repubblica: una missione per la politica


Una missione per la politica
di TITO BOERI (Repubblica del 11/11/2008)
Sono in molti in Italia ad avere issato lo spinnaker sperando di gonfiarlo col ponente teso che spira dopo la vittoria di Barack Obama. Ma non basta usare vele con nomi anglosassoni e agitare le bandiere di "chi può" per tornare a essere politicamente competitivi. Investire sul futuro di Obama è perciò un'impresa ad alto rischio. Molto meglio investire sul passato di Obama, sulla sua incredibile campagna elettorale, fatta di primarie vere, dall'esito spesso imprevedibile perché molto più partecipate che in passato, e di internet, come strumento di comunicazione e di finanziamento. Abbiamo molto da imparare dal candidato Obama nel migliorare i processi di selezione della classe politica all'interno del nostro paese. Il suo "yes, we can" è soprattutto un riconoscimento alla democrazia di internet, alla sua capacità di moltiplicare il potere delle idee, al di là, se non contro, i grandi mezzi di comunicazione. Ma internet non sarebbe bastato se non ci fossero state regole che permettono una vera competizione all'interno dei partiti, aperta anche a chi sta fuori dall'establishment.
Chi vuole raccogliere la bandiera di Obama deve accettare queste regole, deve permettere una vera competizione nel mercato del lavoro dei politici. Ne abbiamo disperato bisogno. I problemi del nostro paese sono in gran parte problemi di inadeguatezza della nostra classe dirigente, a partire dalla classe politica. Nel passaggio dalla Prima alla seconda Repubblica il processo di selezione della nostra classe politica è solo peggiorato. Una volta esistevano i partiti di massa che svolgevano al loro interno la selezione. Contavano le decisioni dei vertici, ma anche i militanti potevano dire la loro. Difficile essere candidato senza il gradimento della base, anche in un collegio elettorale sicuro. Poi i partiti di massa si sono sgonfiati, il rapporto fra militanti ed elettori è crollato, e sono rimasti quasi solo i capi partito a selezionare la classe politica. Il loro potere è sopravvissuto alla crisi dei partiti, in alcuni casi si è addirittura rafforzato grazie alla crisi dei partiti, come dimostrano i tanti one-man party che sono fioriti negli ultimi anni. Cosa ha dato a questi comandanti senza esercito tanto potere? Sicuramente il finanziamento pubblico dei partiti che ha messo ingenti risorse a disposizione delle segreterie. Ma anche regole elettorali, come le liste bloccate, che hanno reso autocratica la selezione dei politici. Come è stato usato tutto questo potere dai segretari dei partiti? Male, molto male, almeno dal nostro punto di vista. Abbiamo avuto parlamentari sempre più vecchi e sempre meno istruiti, come documentano i dati raccolti da un gruppo di ricercatori coordinati da Antonio Merlo dell'Università della Pennsylvania (www. frdb. org). La quota femminile è rimasta più o meno la stessa. La candidatura di qualcuno dell'establishment rientra spesso in uno scambio di favori. Meglio se il candidato è inesperto e non intende fare carriera in politica. Anche a costo di sguarnire le commissioni parlamentari, è bene tarpare le ali a potenziali concorrenti. Fatto sta che in Italia c'è una fortissima rotazione nei parlamentari: un deputato su tre rimane in carica per un solo mandato, contro, ad esempio, uno su cinque negli Stati Uniti. E' un bene? Niente affatto. La politica è una professione impegnativa, si impara facendo. Oggi l'Italia è dominata da un gruppo ristretto di politici a vita che danno l'illusione del ricambio permettendo a innocui "volti nuovi" di entrare a Montecitorio o a Palazzo Madama. Non si investe in nuovi parlamentari. Né i nuovi parlamentari investono in una carriera tra gli scranni: semmai il Parlamento diventa un parcheggio, una pausa in cui coltivare reti di relazioni utili per il dopo. Il tutto avviene, ovviamente, a carico dei contribuenti. Ed è un carico elevato dato che gli stipendi dei parlamentari sono aumentati a tassi da boom economico (+4% l'anno) dal 1980 ad oggi, mentre il Paese entrava progressivamente in una lunga fase di stagnazione. La nostra ben pagata pattuglia al Parlamento Europeo è storicamente quella coi tassi di rotazione più alti dell'Unione: addirittura un parlamentare su tre lascia prima della fine del suo mandato. E' un mestiere complicato quello del parlamentare europeo. Quando si comincia a imparare qualcosa, si sono già fatte le valige, meglio i bauli, del rimpatrio. I cappellini pro-Barack sono "one size fits most", una taglia va bene per molti, ma non per tutti. Chi vuole metterseli in testa deve accettare di cambiare le regole di selezione della classe politica. Basta col finanziamento pubblico dei partiti. Basta con le liste bloccate. Meno parlamentari e, quei pochi, scelti con cura dalla base dei partiti nell'ambito di primarie vere, il cui esito non è precostituito dalle segreterie.
C'è qualcuno lassù disposto a raccogliere questa sfida?

Il mio commento
Sottoscrivo questo pezzo di Tito Boeri perchè dice le cose che noi andiamo ripetendo da anni; E per noi intendo noi di Vicenza Riformista, noi dell'Associazione per il Partito Democratico.
All'Assemblea Regionale di Sabato scorso ho visto molti degli amici con cui abbiamo fatto un percorso comune qui nel Veneto, da Roberto Fasoli, eletto consigliere comunale a Verona con una valanga di preferenze personali, a Antonio Dainelli, da Laura Tarantino, ad Adriano Verlato e poi Pistelli, Mancini, Rizzato, Spiller, Brentel, Corso, ecc. ecc.
In questi amici c'è molta delusione per il modo in cui il nuovo Partito Democratico si sta strutturando: assomiglia sempre di più a quello che temevamo diventasse, la sommatoria dei vecchi organi dirigenti dei Ds e della Margherita.
Prendiamo due questioni che mi appaiono paradigmatiche da questo punto di vista: il referendum elettorale e la questione del conflitto d'interessi.
In Italia sono state raccolte quasi un milione di firme per cambiare la legge elettorale: il famigerato Porcellum introdotto dal noto ministro dentista Calderoli. Tutti sanno che quella legge fu pensata dal centro destra che sapeva di perdere le elezioni dopo cinque anni di disastri, per mettere in difficoltà il centro sinistra. L'obiettivo fu raggiunto in pieno da Berlusconi. E Prodi cadde dopo nemmeno un'anno e mezzo di governo per le contraddizioni interne alla sua maggioranza e per la particolare situazione del Senato dove non esisteva di fatto una maggioranza.
Eppure del referendum non si parla quasi più e parlamentari di destra e di sinitra hanno deciso di glissare sulla questione, al punto che si volevano togliere le preferenze anche per le prossime elezioni europee.
Sulla questione del conflitto d'interessi il centro sinistra continua a spendere fiumi d'inchiostro, a minacciare e blandire; ma nè Prodi, nè D'Alema, nè Amato, riuscirono a partorire una legge credibile e il problema rimane in tutta la sua gravità: l'informazione in Italia è alterata da una distorsione gravissima con un duopolio televisivo in cui da una parte stanno le tre reti di proprietà del Presidente del Consiglio, dall'altro il sistema RAI lottizzato dai partiti con la predominanza di quelli di governo.
E nessuno ha veramente il coraggio d'intervenire!!
Il ricambio reale della classe politica sarà l'obiettivo del prossimo periodo.
Anche di questo blog!

Nessun commento: