lunedì 29 giugno 2015

Anniversario dell'inizio della Grande Guerra

Domenica 24 maggio Vicenza celebrerà il centenario della Grande Guerra. Un appuntamento significativo, che si inserisce all´interno di una serie di eventi che proseguiranno fino al 2018, anche in provincia. Alle 11 ci sarà il trasferimento a Villa Guiccioli della lampada votiva, realizzata appositamente per l´occasione e che, a conclusione delle celebrazione nel 2018, verrà appesa ad una trave della Basilica di Monte Berico, e quindi farà parte della collezione delle lampade votive conservate dai frati. La lampada votiva rimarrà tutta la giornata al museo di Villa Guiccioli, poi verrà trasferita in tutti sacrari della provincia: Pasubio, Cimone, Leiten e Grappa. Un altro momento significativo sarà l´accensione nel tricolore (composto da pannelli led), alle 22, che s´ illuminerà dalla balaustra della terrazza della Basilica, sia verso piazza dei Signori che verso piazza delle Erbe, grazie alla sezione alpini di Vicenza. Domenica le celebrazioni prenderanno il via a Monte Berico, alle 10, con la messa nel santuario. Alle 11 partirà il corteo con la lampada votiva per raggiungere Villa Guiccioli. Dopo l´alzabandiera e la deposizione della corona d´alloro al monumento ai caduti (11.15), alle 11.30 interverranno le autorità all´auditorium del museo cui seguirà la proiezione del film Fango e gloria. Alle 17.30, sempre all´auditorium, la rappresentazione teatrale Fuoco sotto la neve, la Grande Guerra in alta montagna, a cura di Paola Rossi. Nel frattempo oggi il presidente del consiglio comunale Federico Formisano riceverà gli artiglieri francesi e italiani in ricordo della Croix de Guerre e consegnerà loro una targa e una stampa dell´originale diploma con il quale i francesi decorarono la bandiera della città di Vicenza con la Croix de Guerre, per i meriti acquisiti nella Prima guerra mondiale dalle truppe vicentine nell´aiuto agli alleati francesi. Stasera nell´ambito delle serate Non solo medicina organizzate dall´Ordine dei Medici, nella sede di contra´ Paolo Lioy con inizio alle 21, saranno ricordati i medici vicentini che hanno prestato la loro attività al servizio dei combattenti. Dopo il saluto del presidente Michele Valente parleranno il dr. Saverio Mirijello e il dr. Luca Lazzarini. Verrà letta la Preghierà di Doberdò. Questo il mio intervento La prima guerra mondiale fu definita da papa Benedetto XV come il suicidio dell’Europa civile: e se andiamo a rileggere i dati terrificanti del bollettino finale non possiamo che pensare veramente ad una guerra terribile ( o per usare un’altra espressione dello stesso pontefice “un’inutile strage”): diciassette milioni di morti di cui poco meno di dieci milioni di militari un milione di civili ucciso per fatti avvenuti sui teatri di guerra. Con il saldo tragico di quelli deceduti per malattie terribili come la febbre spagnola e per le carestie e le vessazioni sopportate. L’Italia perse seicentomila militari e circa un milione e mezzo di persone se consideriamo i civili. Molti furono i feriti, gli invalidi, i disabili, le persone ammalate di turbe psicologiche. Fu la prima guerra in cui entrarono in scena i reticolati e il filo spinato, i lanciafiamme, le mitragliatrici che sparavano dai 600 agli 800 colpi al minuto. La prima guerra con i bombardamenti attuati dagli aerei e dai dirigibili. Per la prima volta si usarono i gas tra cui la terribile iprite che bloccava i centri nervosi e faceva morire le persone provocando gravissimi danni all’apparato respiratorio e conducendo alla morte in pochi minuti nei casi di più immediato contatto e addirittura in giorni quando il contatto era avvenuto in maniera più graduale con piaghe devastanti che trasformavano le persone e le facevano morire tra indicibili sofferenze. Qualche giorno fa ad un convegno dei medici vicentini che hanno parlato della sanità durante la grande guerra abbiamo scoperto la sindrome da trincea che colpiva gli arti inferiori dei soldati spesso obbligati a rimanere per giorni con i piedi nell’umidità e nel gelo. E spesso i soldati erano colpiti da forme di nevrosi o da traumi da bombardamento. Spesso impazzivano per la sete o subivano danni da congelamento.

Per la prima volta in questa guerra furono usati cannoni di potenza enorme e dalla lunghissima gittata che potevano sparare a 120 km di distanza. Le conseguenze negative furono anche altre, sul piano economico, con la riduzione della produzione industriale e crisi economiche profondissime che misero in ginocchio molti paesi. L’Europa che era stato il teatro principale della guerra dovette cedere posizioni nei confronti degli altri paesi mondiali come gli Stati Uniti ed il Giappone. Il conflitto ebbe effetti anche sul piano demografico a causa delle forti perdite di giovani. Ed ebbe conseguenze sulla perdita del patrimonio artistico a causa dei primi bombardamenti e delle distruzioni apportate dai cannoneggiamenti. A Palazzo Leoni Montanari, sede Museale di Intesa San Paolo sono esposte le opere del Canova che sono state state colpite da una granata nella gipsoteca di Possagno: alcuni gessi sono andati completamente distrutti, altri furono lesionati o scheggiati. E sono stati in parte restaurati ed in parte sono lì a dimostrare gli eccessi della guerra. Il che ci riporta ad altre barbarie che ai nostri giorni vengono commessi in varie zone del mondo. Non ho voluto risparmiarvi nulla in questa breve introduzione per spiegare che se noi ricordiamo questa guerra lo facciamo soprattutto perché vogliamo evitare che un altro conflitto possa colpire il nostro paese e le nostre regioni. I giovani devono sapere che non c’è nulla di avventuroso e romanzesco in una guerra. Ci sono i racconti ormai sbiaditi nel tempo dei nostri nonni o delle generazioni passate che raccontano storie terribili di soldati che si infliggono ferite da soli per sfuggire dai teatri dei conflitti, i casi tragici delle decimazioni o delle fucilazioni dei disertori, con tutto il corollario della tragicità della guerra. Possiamo noi però limitarci esclusivamente analizzare gli aspetti deteriori di un conflitto coinvolgendo in un giudizio complessivamente negativo anche chi fu chiamato a parteciparvi, fu obbligato a prendervi parte? E’ questa la domanda che spesso mi sono fatto in questi mesi in cui su incarico dell’Amministrazione Comunale che oggi rappresento ho avuto modo di partecipare all’inaugurazione di mostre, alla presentazione di libri, a semplici momenti di incontro e di riflessione. Pur lasciando da parte la retorica che spesso fa andare oltre la semplice disamina dell’accaduto per cercare di fare assumere una patina di epos ai fatti e agli avvenimenti di quel tempo, possiamo ricollocare i protagonisti di queste vicende nel luogo che meritano? Ci sono due aspetti che vanno ricordati: molti ritengono che sia in quegli anni che si costruì uno spirito autentico di italianità: militari volutamente provenienti da tutte le regioni del paese furono obbligati a rimanere insieme per lunghi periodi sapendo che la loro stessa esistenza dipendeva dal soldato che stava al loro fianco. Che pure parlava con un diverso accento ma che difendeva la stessa balza, lo stesso crinale. Rifiuto come ho dovuto fare anche alla recente presentazione di un libro sulle istanze autonomiste e secessioniste il concetto che in realtà i soldati meridionali o isolani (come dimenticare l’esempio significativo della Brigata Sassari) fossero obbligati esclusivamente per le armi puntate dai loro custodi a rimanere a difesa delle posizioni. In realtà nel momento in cui essi difendevano dalla caduta in mani nemiche dei territori del Veneto o del Friuli, coglievano anche il valore assoluto e nobilissimo di patria e sentivano di difendere le loro stesse case, le loro stesse donne, i loro beni. E al di là di alcuni aspetti deteriori dell’immagine del nostro soldato, i protagonisti di queste vicende che andiamo raccontando furono tutt’altro che figure sbiadite, vili o pronti a darsi alla fuga. Furono gli stessi comandi austriaci ad ammettere a fine guerra che avevano sottovalutato la resistenza dei nostri soldati, il loro apprendimento rapido delle moderne tecniche, la loro capacità di adattamento a scenari difficili e impervi. Aldo Cazzullo sul Corriere ha scritto: “ Forse può essere utile a loro e a tutti noi italiani, ora che abbiamo sempre meno fiducia in noi stessi e nel nostro futuro, ricordare che un secolo fa l’Italia fu sottoposta alla prima grande prova della sua giovane storia. Poteva essere spazzata via; invece resistette. Dimostrò di non essere soltanto «un nome geografico», come credevano gli austriaci, ma una nazione. Cito anche lo scrittore statunitense Bernard Malamud “Senza eroi siamo persone comuni e non sappiamo quanto possiamo andare lontano”. In fondo se la guerra qualcosa di positivo ha lasciato in noi è proprio questa consapevolezza : di essere pronti comunque a difendere il nostro patrimonio di valori e di civiltà. Nel ricordarne la perversità e l’ottusità, nell’avere ben presente in mente che non vogliamo più guerre ne così ne diverse da così, non dimentichiamoci di chi ci ha permesso di avere oggi indipendenza, libertà e sicurezza e rivolgere loro un grato pensiero.

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