mercoledì 12 febbraio 2014

La giornata del ricordo

In occasione della giornata del Ricordo sono intervenuto al Cimitero maggiore di Vicenza e in Sala Bernarda portando il saluto istituzionale dell'Amministrazione Comunale. Avevo preparato un testo che è questo che allego, ma poi come spesso succede in questi casi ho parlato a braccio senza seguire la scaletta. Ecco comunque gli appunti che avevo preparato

Oggi è la Giornata del Ricordo. la legge istitutiva risale solamente al 2004, recita così, “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Quando si parla di queste popolazioni non si può non ricordare come loro abbiano perso la loro casa, le loro relazioni sociali, l’humus stesso del loro esistere e si siano trovati trapiantati a chilometri di sostanza. Quando mi è stato parlato di Magazzino 18 non ho potuto non pensare a quegli oggetti rimasti per anni mai rivendicati, un ritratto, un vaso, un mobile. Ancora oggi ai DOCKS di Trieste molti di questi oggetti giacciono nella polvere e nel dimenticatoio. Abbiamo spesso parlato di uno Stato Italiano che ha comunque riaccolto i profughi, ha cercato di offrirgli un reinserimento nella società di ridargli una patria, operazione riuscita almeno in parte, ma senza comunque garantire nessuna illusione di ritorno al passato. Di fronte ad una situazione come questa la domanda che io mi sono posto fin dall’inizio è stata: “ Continua ad essere un valore il senso di appartenenza ad una nazione? “ E la seconda domanda è “La bandiera europea è quella di tutti noi senza se e senza me, ma non esiste contraddizione fra il sentirsi di appartenere ad una cultura transazionale e non voler mai in nessun momento deflettere dalla propria profonda italianità ?”

La mia risposta a questi quesiti è presto data: mi rifaccio ad un'ideale di patria nato nel risorgimento e creato, senza equivoci, sul principio della libertà civile e politica e sul rispetto della libertà degli altri popoli e delle altre nazioni. Il concetto di patria deve per quanto mi riguarda identificarsi nel territorio, nell’associazione dei cittadini, che agiscono in sintonia per l’ottenimento di obiettivi strategici per tutti e per far crescere tutti. Potremmo rimanere ore a discutere dove esiste contraddizione fra queste visioni della società ma io personalmente perverrei sempre alle stesse conclusioni che non appartengono alla sfera della politica ma a quella penso dell’umanità: non vedo contraddizione fra pensare che l’Europa divenga una nazione e abbia un ruolo importante nello scacchiere internazionale e l’amore per il mio paese, per le mie tradizioni culturali, direi quasi per la salvaguardia del dialetto prima che della lingua. Ancor oggi ricordo l’incontro con un anziano italiano che viveva nella località istriana di San Vincenti, un piccolissimo paese raccolto attorno ad una chiesa che con le lacrime agli occhi aveva riconosciuto la nostra parlata e aveva accettato di raccontarci la sua storia di esule nella terra natia.

Assodato che non esiste contraddizione fra il sentirsi Europei e l’amore per il proprio territorio, per le proprie tradizioni, per la propria cultura, faccio un ulteriore passo in avanti ed affronto un’altra questione: è giusto difendere la patria ovunque essa si collochi ? Ovviamente la mia risposta è ancora una volta sì: è Italia anche la nave che porta merci italiane nei mercati del mondo. Quel piccolo pezzo del nostro paese va difeso e salvaguardato senza se e senza ma. Certo non possiamo pensare che atti inopinati e attuati in dispregio alle convenzioni internazionali non debbano essere puniti. Ma se i marinai che hanno il compito di difendere le nostri navi da attacchi dei pirati sparano contro quelli che ritengono aggressori non possono essere considerati né assassini né tantomeno terroristi. Svolgono il loro dovere. Per questo motivo esprimo la piena solidarietà mia personale ai due marò che sono ristretti da due anni in India nell’impossibilità di riabbracciare le loro famiglie. E confermo la bontà della scelta di apporre uno striscione sul balcone di Sala Bernarda respingendo polemiche pretestuose che ci sono state al riguardo.

Ed ecco l'articolo apparso sul GIORNALE DI VICENZA La pioggia è battente, il freddo pure. Ma gli anziani non temono nulla, soprattutto le donne. Alcune parlano ancora triestino, hanno occhi azzurri e lucidi. Mani che tremano nascoste nelle tasche dei cappotti, come portassero dentro il gelo della loro esistenza. Sradicate da una terra per proseguire la vita su un altro lembo, dall´altra parte dell´Adriatico. Un mare le ha divise dalle loro case, dalle immagini di paesi, città. C´è chi sventola la bandiera istriana, con una capra disegnata su uno sfondo blu intenso. Chi porta il vessillo della scuola, come alcuni studenti del liceo Pigafetta. Dal 2004, grazie a una legge dello Stato, il 10 febbraio le vittime delle foibe e l´esodo degli istriani, fiumani e dalmati, vengono ricordati con una cerimonia. L´appuntamento ieri era alle 11 al Cimitero monumentale; presenti le associazioni d´arma, i vertici militari delle forze dell´ordine, il Comune rappresentato dal presidente del Consiglio comunale Federico Formisano e l´associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che ha un appendice vicentina guidata da Coriolano Fagarazzi. Due le corone d´alloro deposte ai lati del monumento pensato e scolpito da Nereo Quagliato nel 2010. In mezzo piccoli vasi di fiori: primule, margherite. Ricordi privati, petali di storie abbandonate su una lapide di marmo. «La pioggia non conta - ha detto Fagarazzi - quando arrivammo a Vicenza faceva più freddo, nevicava e non avevamo nulla. Ma non vogliamo perdere niente di quello che abbiamo abbandonato. Soprattutto la dignità». La lettura della preghiera dell´esule scandita con voce tremante e con le lacrime agli occhi da Anna Maria Fagarazzi e poi, appuntamento nel pomeriggio, in sala Stucchi per la parte più importante della cerimonia, quella che parla della storia, di quanto avvenne nel 1947. «La difficoltà delle ricorrenze è sempre una - sostiene Fagarazzi - non devono diventare riti fine a se stessi». Impresa difficile se c´è ancora chi riempie i muri di scritte contro le foibe come è accaduto a Cittadella, oppure polemizza per la messa in scena di spettacoli teatrali: è successo a “Magazzino 18 ” di Simone Cristicchi. «Nonostante la caduta del muro di Berlino, nonostante ci siano tre presidenti di Stato (Italia, Croazia e Slovenia) che cercano di collaborare per dare una maggiore consapevolezza a quanto accaduto, il sentire comune è diverso. Noi cerchiamo una memoria condivisa per esaminare quanto accaduto dal punto di vista storico, con obiettività. Vogliamo tralasciare l´ideologia e affrontare i temi che riguardano le foibe e, soprattutto, l´esodo con consapevolezza e a volte arrivano insulti». Un filo che deve essere dipanato: a Vicenza i profughi iscritti sono un centinaio; più di ottomila in tutta Italia. «Non tutti aderiscono, molti per amarezza, perché l´Italia li ha abbandonati due volte. La prima quando li accolse, e ci furono episodi inenarrabili, la seconda perché sono stati costretti, credendo di trovare maggiore agiatezza in Italia, ad emigrare. Lo spettacolo di Cristicchi? Che venga trasmesso dalla Rai nel “Giorno del Ricordo” la dice lunga. Chi protesta senza vedere è solo schierato ideologicamente», conclude Fagarazzi.

A voler dare un significato particolare alla giornata, il presidente del Consiglio comunale, Formisano, che in sala Stucchi ha voluto agganciarsi alla vicenda dei marò italiani ancora in India accusati di terrorismo. «Quando esposi a palazzo Trissino lo striscione che ricordava la vicenda, alcuni criticarono la scelta. Invece, bisogna considerare che l´amor patrio è ancora un valore. Ma come declinarlo? Stiamo andando verso l´Europa, una società multietnica e multirazziale; questo non è in contraddizione con l´esigenza di mantenere fermi alcuni valori. Tra questi c´è quello dell´amore per la propria terra. Ecco perché non possiamo non pensare alla vicenda dei due marò e alla nave sulla quale si proteggevano dai pirati. Latorre e Girone erano lì per difendere la loro terra perché una nave italiana è suolo italiano. E questo non è terrorismo».

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