venerdì 11 novembre 2011

Perchè un sì convinto a Monti

A guardare i no al possibile governo Mario Monti che si sono levati nelle ultime 12 ore - da Antonio Di Pietro a Oliviero Diliberto passando per lo zoccolo duro dei pidiellini alla Giancarlo Lehner (che ha definito Monti «trilateralista al servizio dei delinquenti alla Madoff, operanti nella City di Londra e in Wall Street») - appaiono profetiche le parole che l'ex manager Goldman Sachs ha scritto nel 2008, insieme con Franco Bassanini, nella prefazione all'edizione italiana del Rapporto Attali. «Lo studio della commissione è stato apprezzato, nel suo complesso, dagli innovatori, dai liberali, dai riformisti del centrodestra e della sinistra francese», scriveva Monti, «ed è stato parimenti criticato, com'era prevedibile, dai conservatori di destra e di sinistra, e dai difensori di rendite, privilegi, interessi corporativi o localistici».


UNA BRECCIA NELLO STATALISMO. La commissione Attali, di cui Monti e Bassanini facevano parte, era riuscita ad aprire una breccia nel dibattito pubblico del Paese più statalista d'Europa, facendo entrare nell'ordine del discorso francese parole fino ad allora impronunciabili come liberismo e concorrenza. «Le nostre proposte rafforzano potere d'acquisto, tutela del consumatore, diritto alla casa come capitale familiare, come servizio, come strumento di mobilità e crescita», spiegò al Corsera il professore della Bocconi a conclusione dei lavori della commissione.

«In sostanza, si smette di credere che liberalizzare significhi trasformare il mercato in una giungla. La sinistra lo ha creduto spesso. È vero il contrario: il liberismo garantisce i più deboli, la mancanza di concorrenza avvantaggia corporazioni e monopoli».

Le reazioni di una parte della politica francese alle proposte formulate dai saggi furono simili a quelle che nelle ultime ore hanno caratterizzato le risposte di una certa politica italiana all'ipotesi di un governo di unità guidato dall'economista di Varese.

L'orizzonte di Monti: un'economia sociale di mercato che valorizza il merito

L'accusa che estremisti di destra e di sinistra muovono al futuro, probabile, premier italiano, è quella di essere un emissario dell'alta finanza, una sorta di prolungamento del potere finanziario sovranazionale, pronto a ridurre le masse alla fame in nome di un neoliberismo selvaggio fatto di profitti che lievitano alla stessa velocità dei dividendi.

NO AL NEOLIBERISMO SENZA SCRUPOLI. In realtà, basta leggere gli scritti dell'uomo che Silvio Berlusconi, con il placet di Massimo D'Alema, volle commissario europeo nel 1995, per capire che l'orizzonte al quale fa riferimento non è quello di un neoliberismo senza scrupoli, ma è «la prospettiva di un'economia sociale di mercato, che valorizza il merito, i talenti, la capacità di tutti, a partire dal diritto all'istruzione, alla sicurezza, alla salute e alla qualità ambientale».

RIMUOVERE GLI OSTACOLI ALLA CRESCITA. Il 14 luglio del 2011, in un editoriale pubblicato dal Corriere della sera e dal Financial Times, Monti aveva indicato al governo Berlusconi la strada da seguire per interrompere l'attacco speculativo ai danni dell'Italia, prima che la situazione precipitasse portando lo spread Btp-Bund oltre i 500 punti, ma la missiva rimase lettera morta.

«È di importanza vitale per l'Italia far aumentare la produttività complessiva, la competitività, la crescita; e ridurre le disuguaglianze sociali», scrisse il presidente della Bocconi. Ma «ciò deve essere conseguito, ovviamente, non allentando la disciplina di bilancio - come esponenti autorevoli del governo e della maggioranza chiedono con insistenza al ministro Tremonti - ma rimuovendo gli ostacoli strutturali alla crescita. Essi sono numerosi, ben radicati in molti settori e hanno in comune una cosa: derivano dal corporativismo e da insufficiente concorrenza».

L'importanza di rafforzare l'Autorità garante della concorrenza

Il professore specializzato a Yale con un compagno di studi eccellente, quel James Tobin che inventò la Tobin tax, individuava in due fattori gli ostacoli alla crescita dell'Italia: le caratteristiche dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle altre autorità di regolazione, che «non hanno sufficienti poteri, indipendenza effettiva e risorse», e una serie di «restrizioni alla concorrenza introdotte negli anni da provvedimenti legislativi e amministrativi».

LE BATTAGLIE ANTITRUST. Sull'importanza di rafforzare e rendere trasparenti le autorità garanti, in quanto strumenti di tutela della libertà e della competitività dei mercati, Monti insiste da sempre. Da commissario europeo, prima al mercato interno, poi alla concorrenza, ingaggiò una dura battaglia antitrust contro la Microsoft di Bill Gates accusata di abuso di posizione dominante: una battaglia conclusasi nel 2004 con una maximulta ai danni del colosso americano di 497 milioni di euro e la condanna a consegnare agli altri produttori i codici sorgente di Windows per rendere i server compatibili con quello Microsoft.

Monti, all'epoca, spiegò che era fondamentale per l'Unione europea stabilire con certezza «che cosa vuole dire abuso di posizione dominante nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione».

I rischi per la tenuta Ue: lo strapotere della finanza e le disuguaglianze

Che l'uomo non abbia spregiudicate convinzioni liberiste, inneggianti al profitto e solo al profitto, lo testimonia anche un altro scritto affidato al Corriere della Sera: 'Gli stati Disarmati'. Era il marzo 2009, la crisi non aveva ancora messo in ginocchio la Grecia, la Spagna, l'Italia rischiando di porre fine all'Europa economica e politica, e Monti intravedeva già in due fattori i rischi maggiori per la tenuta dei Paesi Ue: gli eccessi della finanza e le crescenti disuguaglianze all'interno dei singoli stati. «I maggiori Paesi, nel G8 e nel G20, stanno finalmente combattendo la battaglia di ieri, contro gli eccessi della finanza. Ma trascurano un'altra battaglia urgente, contro gli eccessi delle disuguaglianze», scrisse l'economista.

CONTRO IL MERCATISMO, PER LA CRESCITA. Una regolazione coordinata della finanza è dunque essenziale, concludeva il professore, ma è stata finora ostacolata da «Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, a lungo contrari ad azioni incisive in materia» e dai governi come quello italiano, nel 2009 saldamente nella mani di un Giulio Tremonti versione anti-globalista, «che ora criticano gli eccessi della finanza e la mancanza di governance internazionale ma che per anni si sono appiattiti, in questo come in altri campi, sulle posizioni unilateraliste e - si direbbe oggi - 'mercatiste' dell'amministrazione Bush».

OBIETTIVO: RIDURRE LE DISPARITÀ. Contro il 'mercatismo' che vorrebbe imporre agli Stati - Spagna, Grecia e ora anche l'Italia - una politica di austerità tutta tagli, che finora è costata ad Atene una contrazione del 5% del Pil nel 2011 e del 2,5% nel 2012, Monti ha sempre sostenuto la necessità, tenendo stabili i conti pubblici, di far ripartire la crescita e ridurre le disuguaglianze sociali.

«Un pericolo ancora più grave viene dalle crescenti disparità, tra Paesi e all'interno dei Paesi», diceva il professore già nel 2009. «Oltre a causare sofferenze umane e sociali, esse rischiano di scatenare reazioni capaci di far cadere il mondo nel protezionismo e vari Paesi nel caos politico o in regimi non democratici».

L'unico modo per contenere le disuguaglianze, secondo Monti, è una riforma fiscale a livello europeo, che possa riequilibrare il carico che in questi anni si è alleggerito sulla rendita per pesare ulteriormente sui redditi da lavoro e sulle imprese.

Le sinistre e le destre estreme, che si sbracciano in queste ore per urlare i loro no al governo delle banche e della finanza, sono avvisate: argomentare un critica intelligente e fondata all'economia sociale di mercato modello Mario Monti non sarà facile al cospetto dei loro elettori.

Giovedì, 10 Novembre 2011

(Gabriella Colarusso da www.lettera43.it )

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