domenica 17 ottobre 2010

Il Caso Cota avvicina la fine di Berlusconi e del suo governicchio ??

Il Carroccio pronto a denunciare il golpe e a "staccare la spina"

UGO MAGRI Su LA STAMPA DI TORINO

ROMA

Altro che tentativo di metter pace tra i due litiganti... Dice in pratica Calderoli: la situazione è fuori controllo, al volante non c’è nessuno. La rappresentazione plastica si è avuta giovedì: un Consiglio dei ministri per decidere l’austerità, con il premier assente per malattia. E Tremonti assistito da Brunetta davanti alle telecamere, come se Berlusconi fosse il passato e in sua vece ci fosse un governo tecnico... Così non si va avanti, lancia l’allarme la Lega, l’incidente è dietro l’angolo. Già c’eravamo vicini giorni fa, quando il Senato stava bocciando il documento cardine della politica economica, e solo una sterzata dei finiani in extremis aveva evitato il burrone.



Quella sarebbe stata la classica goccia, il popolo padano non avrebbe esitato un attimo, per bocca dei suoi rappresentanti, a chiedere nuove elezioni subito. Ma ogni momento ce n’è una, l’ultima è questa manifestazione Fiom che per la Lega significa scontro sociale durissimo. La prossima mina saranno i giudici. E quando il Carroccio se la piglia coi magistrati, non ha in mente le «toghe rosse», le inchieste su Berlusconi oppure le altre che puntano a incastrare Letta... No: guarda a Torino, al Tar del Piemonte, al riconteggio delle schede regionali su cui la Bresso nutre così forti speranze. Perché lo sanno tutti, Cota è il «figlioccio» di Bossi. Se venisse detronizzato dal giudice in base a qualche cavillo, l’Umberto ci metterebbe un attimo a denunciare il «colpo di mano», a proclamare morta la democrazia in Italia, perché «se un organo amministrativo può invalidare la volontà del popolo allora qui non regge più nulla, la legislatura è in coma, meglio staccare la spina» (il Presidente della Repubblica pare che ne sia bene al corrente, e tenga perciò un occhio allarmato sul caso Piemonte). Perché «basta con la finzione di un governo impotente, che non sa farsi prendere sul serio», dicono in via Bellerio a Milano.



Della decomposizione in atto la Lega vede due colpevoli, Silvio e Gianfranco: «O si incontrano e stringono un nuovo patto», insiste Calderoli, «oppure meglio chiuderla qui». Non è una proposta di pace. Semmai un ultimatum, forse addirittura un «de profundis» della legislatura, in quanto nessuno meglio del ministro in cravatta verde sa che un faccia-a-faccia tra Berlusconi e Fini sarebbe quanto di più improbabile. Calderoli è andato personalmente a trovare entrambi, illuso lunedì scorso dalla loro stretta di mano davanti alle bare dei quattro alpini caduti. Salvo trovarsi davanti a un muro. Se prima si odiavano, adesso di più. Il presidente della Camera (nonostante i tentativi di dialogo Ghedini-Bongiorno) pare non abbia la minima voglia di offrire riparo al premier contro i pm: solo norme costituzionali, che entrerebbero in vigore col Cavaliere già condannato... Se quelli insistono, la Lega rompe. Con tutti e due.



Per correre alle elezioni da sola, e sfruttare a fondo la crisi del Pdl, mai così nera. Mercoledì è convocato un ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli. Grande battage mediatico per presentarlo come una svolta, diventerà un partito democratico promette Bondi. Il piano è studiato da Verdini, prevede che coordinatori regionali e vice saranno sempre nominati dal Cavaliere. Tuttavia, nel caso di designazioni pressoché unanimi (servirà il 75 per cento), d’ora in avanti Berlusconi si limiterà a mettere il timbro. Partirà il tesseramento, come in tutti i partiti degni del nome. Disco verde ai congressi comunali e provinciali, dove (lì davvero) sarà lecito scannarsi per le poltrone. E grandi speranze verranno riposte nei «team della libertà», da reclutare in base a un indirizzario che conta 1 milione e mezzo di nomi. Berlusconi, in tutto questo, si ritempra. Chi l’ha sentito ieri giura che quando tornerà sulla scena lo troveremo «in forma e più giovane». Ci manca solo che abbia fatto un lifting...

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