L'ANALISI
di MASSIMO GIANNINI (Repubblica del 23/4/2010)
Il fallimento di un'illusione. È l'unica cosa che si può dire, di fronte al duello rusticano che si consuma tra Berlusconi e Fini nella direzione del Pdl trasformata in arena. Chi pensava ad un compromesso doroteo, tra il fondatore e il co-fondatore, non ha capito la portata di questa clamorosa rottura, che a questo punto non è più solo politica, ma è anche fisica. In una sorta di seduta di autoanalisi individuale, ma celebrata collettivamente di fronte alle telecamere televisive e alle agguerrite fazioni del Popolo delle Libertà, il presidente del Consiglio e il presidente della Camera si rivolgono minacce e anatemi, si rinfacciano tradimenti e bugie, si rimpallano accuse e veleni. In un inquietante crescendo di rancori personali e di livori politici, si "sbranano" come belve nel circo mediatico, dandosi in pasto alla platea degli uditori e degli elettori. In sostanza: officiano le esequie del Pdl, almeno nella formula conosciuta dai tempi della "rivoluzione del Predellino".
Sul piano politico, nessuno dei due fa retromarce. Non le fa Berlusconi, che liquida le istanze di Fini come "questioni di poca importanza", che "non valeva la pena" sollevare, di fronte a un partito che governa magnificamente il Paese e continua a vincere tutte le elezioni. Non le fa Fini, che rilancia le sue contestazioni al premier su tutta la linea, dall'immigrazione alla prescrizione breve, dall'organizzazione del partito alle scelte sulla Sicilia, dalla sudditanza psicologica nei confronti della Lega al caos delle liste per le regionali. La rappresentazione plastica di questo scontro dimostra l'irriducibile inconciliabilità non solo delle posizioni congiunturali, ma delle ispirazioni strutturali dei due contendenti. Berlusconi parla una lingua, Fini ne parla un'altra. Non sono più neanche due diverse idee della destra, ma sono piuttosto due differenti universi politico-culturali. Da quello che si vede nel feroce lavacro della direzione, non possono coesistere, ma solo confliggere.
Ma la novità è che la frattura avviene anche sul piano personale. Quando ci si parla evocando le categoria del tradimento, della menzogna, della mala fede, del sabotaggio, si supera un confine dal quale è impossibile tornare indietro. E questo succede, tra Berlusconi e Fini. Il primo lo apostrofa, intimandogli di lasciare il suo incarico di presidente della Camera, se vuole continuare nel suo inutile e dannoso "contrappunto quotidiano". Il secondo gli replica a brutto muso, con un provocatorio "mi cacci?". Non siamo più alla dialettica tra i leader, ma agli insulti tra le persone. La resa dei conti trascende la validità dei ragionamenti e prescinde dalla contabilità dei numeri.
Non è più importante capire quanto dica il vero Berlusconi, o quante divisioni abbia Fini. Bisogna solo prendere atto che il progetto del Popolo delle Libertà, appunto, è ormai fallito. E non poteva essere che così. Il fallimento era contenuto nel suo atto di nascita, che aveva fotografato subito la distanza ontologica, e incolmabile, tra le due anime del "nuovo" centrodestra. L'illusione che una grande partito moderato e di massa si possa reggere solo sul "centralismo carismatico", costruita un anno e mezzo fa dal Cavaliere a Piazza San Babila, crolla per sempre nell'Auditorium di Santa Cecilia. Quanto potranno duellare ancora, i due fondatori, in mezzo a queste macerie?
Il mio commento
Ho ascoltato l'intervento di Fini parola per parola. Fini è un politico di grande statura e questo è indubitabile. Rimane comunque un uomo di destra. Non dimentichiamolo. Il suo riferimento politico è rivolto alla destra europea, al modello neogollista che richiama forti valori sociali. Fini interpreta questa sua visione politica con convinzione e con argomentazioni che in qualche passaggio possono anche essere condivisibili: nell'atteggiamento di tolleranza verso gli extracomunitari, nel richiamo ad uno spirito nazionale che può comprendere forme di federalismo ma è assolutamente antitetico a visioni secessioniste, nella forma di partito contrario al centralismo oggi imposto da Berlusconi, ecc.
Ma la distanza rimane perchè Fini è comunque agganciato alla sua storia.
Ritengo opportuno sottolineare poi la drammaticità del momento che viviamo. La crisi non è certo passato e l'Italia ha bisogno di essere governata. Al di là delle formule vuote e dell'autoincensamento, questo governo non ha saputo affrontare veramente la crisi economica. Avrebbe le potenzialità per farlo: sopratutto avrebbe una maggioranza numericamente capace di legiferare e di attuare provvedimenti che vadano incontro alle necessità del paese. Ma se questa maggioranza si sfalda non affonda solo Berlusconi o il PDL, affonda il paese.
E questo è troppo grave per farlo passare sotto silenzio.
Andare oggi allo scioglimento delle Camere significherebbe mettere l'Italia nell'inerzia politica per almeno sei mesi. Ce lo possiamo permettere?
Ci possiamo permettere che Bossi definisca conclusa l'esperienza dell'accordo fra PDL e Lega.
Possiamo pensare che la Lega divenga il primo partito al NORD, ma non certo nel paese, creando i presupposti per una fase di tensione e di viaggio nell'ignoto della possibile secessione??
NO. Ovviamente. E per questo che ci aspettiamo una prova di responsabilità da Berlusconi, da Bossi e dallo stesso Fini.
Non per noi ma per questa povera Italia!
Federico Formisano
Federico Formisano
venerdì 23 aprile 2010
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