mercoledì 9 settembre 2009

LA CRISI UN KILLER SPIETATO....

Antonio Liviero sul GAZZETTINO del 9/9/2009
VENEZIA (9 settembre) - Si può morire di troppo lavoro. Ma anche di mancanza di lavoro. O per la paura di perderlo. Ieri a Galliera Veneta, nel Padovano, un impiegato di banca di 34 anni è stato trovato privo di vita nell’appartamento in cui abitava da single. Accanto al corpo un biglietto d’addio dal quale non emergono cause apparenti del suicidio. Ma al fratello pare avesse confidato preoccupazioni relative al posto di lavoro. Timori che in tempi di crisi economica hanno in molti. Tanto che la crisi può diventare un killer spietato.

Basta scorrere le cronache dei giornali. Negli ultimi 10 giorni in provincia di Vicenza ci sono stati tre casi di di disoccupati o persone con problemi occupazionali che si sono tolti la vita: un uomo di 46 anni padre di tre figli, un trentottenne di Belvedere di Tezze, che si è ucciso sabato. E il caso più eclatante, sempre la scorsa settimana: la morte di Lorenzo Guglielmi, assessore al Bilancio del Comune di Rosà, per molti anni membro del consiglio parrocchiale. Aveva 55 anni. Ha lasciato la moglie e due figli. Pochi giorni prima aveva perso l’incarico di coordinatore di una rete finanziaria.

Non è un caso che i suicidi colpiscano chi ha perso il lavoro o rischia di perderlo. E non sorprende che nel Nordest il fenomeno si faccia sentire, anche se gli indicatori dicono che la crisi economica qui morde meno che altrove.
Spiega il professor Massimo Santinello, direttore del dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione all’Università di Padova: «Le ricerche che documentano la relazione tra disoccupazione e salute mentale risalgono a più di 25 anni fa. È dimostrato che in presenza di una crisi economica e di un aumento del tasso di disoccupazione, crescono i problemi legati alla salute. Il suicidio è uno di questi, accompagnato da depressione».

Il contesto sociale non è indifferente. Come potrebbe essere nel ricco Nordest, il cui modello è fondato sulla piccola impresa e il culto del lavoro. «Dove la cosa più importante è fare soldi, la perdita del lavoro rischia di essere più traumatica e di privare le persone del motivo che dà un senso alla loro vita - osserva il professor Santinello -. Teniamo conto che al lavoro è legata parte dell’identità delle persone. Trovarsi licenziati o in cassa integrazione può dare la sensazione di non contare più nulla per nessuno. Anche rispetto ai figli e al partner. Si perdono i motivi per i quali si è portati a pensare che gli altri ci vogliano bene. Insomma, perdere il lavoro fa venir meno il riferimento centrale della vita anche se poi su un sucicido incidono più elementi».

Secondo i dati diffusi lo scorso anno in occasione della giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, in Veneto si muore 15 volte di più per suicidio che per omicidio. La metà dei casi si verifica oltre i 52 anni. La media è di 7,4 decessi per 100mila abitanti, 327 all’anno. Una cifra un po’ più bassa di quella friulana (9,4) e in media col resto del Paese (7,7).

Sull’effetto crisi economica si è invece espresso uno studio condotto a Londra su 26 paesi dell’Unione europea. Ha rilevato che al di sotto dei 65 anni, a ogni aumento dell’1% dei senza lavoro cresce dello 0,8% il numero di chi si toglie la vita o uccide. E quando la disoccupazione supera il 3% il tasso dei suicidi sale del 4,5% e addirittura del 28% quello delle morti legate all’abuso di acol.

Come contrastare il fenomeno? Secondo Franca Porto, vicentina, segretario veneto della Cisl, non bastano gli ammortizzatori sociali: «Certo rimangono la priorità, ma i sussidi non sono sufficienti - dice -. Servono strumenti per orientare e ricollocare i lavoratori. Per toglierli dallo smarrimento e dare loro una prospettiva concreta.»

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