da Repubblica del 30/4/2008
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Tuttavia, non conviene svalutare Vicenza. Dove Achille Variati, candidato del Pd, si è imposto di misura, risalendo, al ballottaggio, di quasi 20 punti percentuali e di 6000 voti. Mentre la candidata del Centrodestra, Lia Sartori, ha recuperato solo 150 voti. Perdendo non solo gli otto punti di vantaggio precedenti. Ma soprattutto le elezioni. Certo, il successo di Vicenza non può lenire la ferita di Roma, che è profonda e non rimarginabile. Né può mascherare il rapido logoramento dei legami locali del Centrosinistra e del Pd subito in questa occasione. Tuttavia, può servire. Anzitutto, a capire il Nord, senza attendere la prossima ondata leghista. E poi a cogliere il senso delle difficoltà incontrate dal Pd, non solo a livello locale. Ma più in generale: come modello di partito. D'altronde, nel suo piccolo, anche Vicenza è diventata (suo malgrado) una capitale: del "forza-leghismo". Sede del Parlamento Padano. Il luogo da cui Silvio Berlusconi, nel marzo 2006, in occasione dell'Assemblea nazionale di Confindustria, lanciò la rincorsa a Prodi. Da dieci anni governata da un sindaco (ner)azzurro. Logica la tentazione di spiegare questo risultato come un accidente. O, più semplicemente, di rimuoverlo. Come ogni evento lontano dal "caput mundi". Eppure, un po' di riflessione servirebbe a capire che il "caso", come ovunque, c'entra (tanto più quando si vince di 500 voti). Ma contano di più altre ragionevoli ragioni. 1. Anzitutto, il pregiudizio che disegna il Nord come un porto avvolto nella nebbia. Verdeazzurra. E' un pregiudizio. Per limitarci al Nordest, considerata una "Vandea", il centrosinistra amministra molte realtà fra le più importanti. Da Venezia a Padova. A Udine. Senza dimenticare Trento e Bolzano (province autonome comprese). Fino all'anno scorso anche a Verona. Fino a due settimane fa il Friuli-Venezia Giulia. Quanto a Vicenza, capitale forza-leghista, non è mai stata forza-leghista. Due anni fa, al referendum sulla devolution, la maggioranza dei cittadini ha votato contro. Cinque anni fa Vincenzo Riboni, candidato dell'Ulivo, al ballottaggio ottenne il 47% dei voti. Gli stessi sondaggi condotti negli ultimi sei mesi a Vicenza, con regolarità (da Ipsos e Demos), delineavano una situazione di incertezza. Perfino una settimana fa (Demos, 17-18 aprile, 1000 casi) i due candidati apparivano perfettamente alla pari. Considerarla perduta a priori era un pregiudizio infondato. 2. L'importanza del candidato e del sistema di selezione. Lia Sartori è stata scelta dall'alto. Tra conflitti e mediazioni che hanno opposto Lega e Forza Italia, anche al loro interno. Un tempo figura d'apparato della sinistra socialista. Oggi "donna forte di Forza Italia". Vicina al governatore Giancarlo Galan. "Una di Thiene", ricca cittadina commerciale, a poca distanza da Vicenza. Lo stesso che candidare a sindaco di Malo "uno di Isola", direbbe Luigi Meneghello. Invece Variati, cinquantenne, è un candidato vicentino, con una storia vicentina. Già sindaco fra il 1990 e il 1995. Di provenienza democristiana. Allievo di Rumor. Oggi PD. Legittimato, a inizio marzo, dalle primarie, con grande partecipazione popolare e un ampio consenso personale. 3. Il clima d'opinione attraversato da un'insicurezza sociale che riflette ragioni diverse dalla criminalità comune e dall'immigrazione. Piuttosto: dalla vicenda Dal Molin. La nuova base militare americana, concessa dal governo di centrosinistra, con l'accordo preventivo (taciuto per anni) della giunta e del governo precedenti. Ancora oggi "rifiutata" dalla maggioranza della popolazione (contrario il 53 % dei vicentini, sondaggio Demos). Non a caso, una lista ispirata da alcuni comitati contrari alla base ha conquistato il 5% al primo turno. Variati, sindaco neo eletto, ha sempre espresso dissenso nei confronti della decisione - e del centrosinistra nazionale. Per ragioni di metodo, più che di principio. La mancata consultazione dei cittadini, il deficit di confronto con il governo. 4. Infine, Variati e il Pd hanno fatto una campagna elettorale vera, vecchio stile. Porta a porta. Tutti i giorni nei quartieri, nei mercati, insieme a decine di militanti e volontari, giovani e giovanissimi, a volantinare dappertutto, in centro e in periferia. Mentre la sua avversaria quasi non si è vista. La vittoria di Variati, dunque, è avvenuta per ragionevoli ragioni. Al contrario della sua avversaria - ma anche di Rutelli a Roma - la sua candidatura è stata espressa direttamente dagli elettori, con le primarie. Ha fatto una campagna elettorale vera, mobilitando sul territorio un Pd vero. Ha comunicato messaggi condivisi. Egli stesso è apparso, ai cittadini, competente e credibile. Anche agli elettori della sinistra e ai comitati No dal Molin. Che lo hanno sostenuto, nel ballottaggio. Senza accordi. La candidatura di Calearo, inoltre, per quanto controversa, ha aperto una fessura nel rapporto con i settori imprenditoriali e del lavoro autonomo. Così, Variati ha fatto il pieno dei voti di centrosinistra e di sinistra. Intercettando anche molti voti di centrodestra, soprattutto della Lega. Due settimane fa Ezio Mauro ha scritto che occorre "costruire un Pd del Nord. Per vivere, o almeno per capire". Forzando l'equazione, potremmo sostenere che, per sfidare il centrodestra, occorre costruire il Pd, ma "dovunque". Senza imitare il "modello Berlusconi". E' inimitabile. Più che un "partito personale", a questo fine, serve un "partito di persone", che si radichi sul territorio e nella società. Non solo sui media. Ora che Roma è caduta, può risultare (forse) più facile, al Pd, guardare a Nord senza occhiali deformanti. E, con umiltà, ripartire (anche) da Vicenza.
martedì 20 maggio 2008
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1 commento:
Nei commenti post elettorali, anche qui a nordest, ricorre l’ipotesi di uno spostamento del voto operaio verso destra e la Lega Nord in particolare, come se originariamente gli operai avessero votato in massa a sinistra. Chi sostiene questa tesi sottovaluta un dato molto rilevante e noto agli studiosi più attenti: la Lega Nord risulta il primo partito fra gli orientamenti di voto degli operai del Nord già nel 1996. Il primo governo Berlusconi, infatti, cade nell’autunno del 1994 perché Bossi comprende il rifiuto da parte della base operaia leghista della riforma pensionistica voluta da Lamberto Dini. La Lega, poi, ha perso alcuni consensi, anche in relazione alle scelte di politica economica del governo Berlusconi II, ma ora li ha ritrovati tutti o quasi. Tuttavia, è opportuno ricordare che anche nei decenni trascorsi una buona porzione di classe operaia veneta votava stabilmente per la Democrazia Cristiana. Oggi la sinistra contribuisce al successo altrui quando segue teorie che sostengono la fine della classe operaia. Gli operai, invece, non solo continuano ad esistere, ma hanno pure parecchi problemi, fra cui quello di morire ogni giorno nei cantieri.
Se possibile l’appartenenza territoriale nell’orientamento di voto risulta potentemente rafforzata: il Nord (e il Nordest in particolare) recupera un ancoraggio partitico con la Lega, il PD mantiene (e in alcune zone, come la Romagna, porzioni di Toscana e le Marche) rafforza il radicamento tradizionale della sinistra, a conferma che una parte del tradizionale insediamento “rosso” può essere “convertito” entro forme partitiche rinnovate. Se guardiamo all’Italia centrale, il PD rafforza il suo consenso laddove funziona il proprio modello che concilia sostegno allo sviluppo locale ed erogazione di servizi sociali di elevata qualità orientati soprattutto ai ceti meno abbienti. Alcune ricerche in corso in Toscana dimostrano la capacità d’attrazione da parte del partito democratico nei confronti dei networks sociali emergenti, come le nuove forme di associazionismo. Al Sud (non solo in Sicilia) l’autonomismo di Lombardo ottiene risultati molto interessanti. Da questo punto vista, il ritorno ad una territorializzazione della politica sembra annunciare un riavvicinamento fra società locale e partiti e, quindi, prelude anche a nuove relazioni dei contesti locali con il sistema politico nazionale. In questo senso potremmo ipotizzare che la lunga transizione italiana stia volgendo alla conclusione: Berlusconi cercherà di gestire la conflittualità Lega versus PD varando una riforma improntata al decentramento e modificando, ma solo in parte, la legge elettorale. La conclusione della transizione italiana attualmente sembra favorire il centrodestra, ma in condizioni di effettivo rinnovamento dell’offerta politica del centrosinistra l’intero scenario potrebbe mutare significativamente.
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