Una cerimonia senza fronzoli, lontana dai riflettori delle grandi sfilate e della folla assiepata dietro le transenne. Eppure, chi c´era, racconta di una commozione diffusa e nemmeno tanto velata. O, almeno, non lo è stata quella dei due reduci del secondo conflitto mondiale che hanno salutato la bandiera di guerra del reggimento stringendone un drappo con una mano e, avvicinanto il volto al tricolore, lo hanno baciato. Ora quella bandiera sarà conservata all´interno dell´Altare della Patria a Roma.Parla di «evento che tocca il cuore» Federico Formisano, presidente del consiglio comunale. Giudizio condiviso anche dalla delegazione della sezione Ana di Vicenza guidata dal presidente Luciano Cherobin. Chi c´era aggiunge che gli alti ufficiali erano scuri in volto. Ed è difficile distinguere il confine tra la maschera di serietà che gli uomini e le donne dell´esercito indossano da quando escono dall´Accademia fino a conclusione della loro carriera e la tristezza per lo scioglimento di un reparto di cui erano gli ultimi eredi.Già, è impossibile comprendere la relazione tra ufficiali e soldati e un reggimento come il Vicenza che ha attraversato due guerre mondiali, è sopravvissuto alla moria di reparti durante la riorganizzazione degli anni ´90 e che, nel 2011, ha partecipato alla missione in Kosovo.
«Solo chi ha fatto il soldato può capire» è il ritornello di queste ore. Soprattutto, spiegano, se si tratta di un reggimento pluridecorato. La bandiera di guerra del Vicenza è stata insignita di una medaglia di bronzo al valor militare nel 1941 dopo la conquista della Grecia e di una medaglia d´oro sempre al valor militare pochi anni dopo, nel 1943, a conclusione della guerra in Russia. Senza contare poi le medaglie ricevute dai singoli soldati.Dopo più di cento anni il reggimento ha perso la battaglia della sopravvivenza sul campo dei numeri dei bilanci dello Stato. Fine ironica per un reparto il cui motto era Per ardua ardens, con ardore attraverso le difficoltà. Tutte, forse, ma non quelle dei libri contabili.
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