giovedì 1 aprile 2010

La leadership: questo è il problema

Per vincere le elezioni ci vuole un grande lavoro di squadra, ma sopratutto ci vuole un leader. Quello che caratterizza i leader è che possono influenzare gli altri nel gruppo più di quanto siano influenzati loro stessi (da Wikipedia, enciclopedia on line).
Il mio modesto parere che ovviamente potrà essere contraddetto è che, in questo momento il panorama politico italiano, presenta quattro figure di leader (Berlusconi, Fini, Bossi e Casini) e che nessuno di questi è espressione del Partito Democratico.
Berlusconi è un leader. Non in virtù di trasparenza di comportamenti, non per capacità oratorie particolari, ma perchè attraverso eccezionali capacità mediatiche sostenute da una forza economica assolutamente inusuale per un capo di governo, interpreta nel senso più spregiudicato possibile l'approccio populista alla politica. Berlusconi potrà essere considerato un leader solo nel nostro paese, ma a lui tanto basta ed avanza ed è irrilevante che all'estero abbia fatto scendere la considerazione del nostro paese ai minimi termini.
Bossi è un leader, malandato si, ma capace ancora di esprimere un forte carisma. Lo ha dimostrato in questa campagna elettorale dove ha agito con arguzia ed intelligenza, riuscendo a fare della Lega, partito che a Roma è del tutto inserito nei meccanismi del potere, una forza in grado di interpretare le esigenze del territorio e sopratutto quelle del Nord. Un operaio cassintegrato o in mobilità con poche possibilità di rioccupazione nell'immediato, oggi, vota lega. Senza se e senza ma. E dalla Lega si aspetta molto. La bravura di Bossi, ma anche quella di Cota, Maroni, Zaia, e c. sarà quella di dimostrare nei fatti che il clientelismo romano o sudista non riuscirà a bloccare il processo tanto sbandierato di federalismo. Fra due anni o gli enti locali avranno più potere reali e più fondi da investire nella riqualificazione dei lavoratori, o scatteranno meccanismi di cui oggi è impossibile intuire la dinamicità. Meccanismi che potrebbero portare anche a tensioni secessioniste.
Fini è un leader, solo apparentemente decontestualizzato nel PDL, in realtà capace di portare suoi adepti, la Polverini e Scopelliti a governare il Lazio e la Calabria. Fini è sicuramente il più lucido, il più istituzionale, il più moderato, fra gli attuali esponenti del PDL. E per questo, forse, il più pericoloso.
Nella successione a Berlusconi avrà molti rivali, ma alla fine prevarrà perchè così è scritto. E non sarà un passaggio facile per il centro sinistra italiano.
Casini è un leader; solo il suo carisma e la sua abilità gli permettono di mantenere vivo il rapporto con un area centrista che oggi non ha senso visto l'accentuato bipolarismo che ha assunto la politica italiana.
Abbandonato in massa dai suoi uomini (solo in provincia di Vicenza se ne sono andati Bontorin, Bonotto, D'Agrò, e tanti altri) ha serrato le fila e ha portato a casa un risultato di prestigio. E' stato decisivo quasi dappertutto. Ed oggi rappresenta l'ago della bilancia. In un paese dove il centro sinistra e il centro destra sono oggi in quasi perfetta parità (46 Berlusconi, 45,5 gli anti berlusconiani, vedi i dati delle Regionali) il 5% dei voti di Casini è appetito a destra e a sinistra.


Non ho citato un solo leader del centro sinistra: semplicemente perchè non lo intravvedo al momento.
Nel Partito Democratico ci sono tre cavalli di razza: D'Alema, Prodi e Veltroni ma o si sono fatti da parte o sono stati messi nelle condizioni di non nuocere.
Veltroni ha avuto l'arroganza di opporsi alla vecchia leadership: lo hanno fatto fuori in un battibaleno. D'Alema ha commesso errori politici dettati da una smodata ambizione che hanno limato la sua credibilità: il mancato intervento sul conflitto di interessi in sede di bicamerale, la decisione di far fuori Prodi (utilizzando la clava Bertinotti..) mettendosi al suo posto, il tramare contro Veltroni, la disavventura Vendola, sono tutte bucce di banana sulle quali è clamorosamente scivolato e dalle quali decisamente si rialzerà.
Prodi è stato l'unico capace in due circostanze di battere Berlusconi, ma ormai sente il peso delle sconfitte e dell'età e svolge con grande dignità il ruolo di coscienza critica.
Bersani non è un leader, perlomeno non ancora.
In una campagna elettorale difficile ha saputo svolgere un ruolo di equilibrio. Ma non è bastato. Bersani potrebbe essere anche un buon primo ministro, ma non intravvedo in lui le caratteristiche del trascinatore. Il PD ha bisogno di qualcuno che detti la linea con chiarezza ma anche con la disinvoltura di chi è leader per definizione ed in un paese come il nostro si mette davanti a trascinare tutti con la forza dell'esempio e dell'eloquio.
Invece di impantanare il partito in lunghissime discussioni sulla linea da seguire ( se è più giusto allearsi con la sinistra, se è opportuno cercare un'intesa con l'area centrista) abbia la forza di imporre una scelta.
C'è qualcuno all'orizzonte in grado di svolgere questo ruolo?
Al momento devo dire che non lo intravvedo. Non seguo Vendola al punto di esserne un ammiratore, lo stesso devo dire di Civati, di Marino, della Serracchiani, di Bachelet, di Andreatta, dello stesso Enrico Letta, che rimane comunque giovane di età e di sentire.
Ci vorrà del tempo. Ma questa dimensione, quella temporale, è l'unica cosa che in questa fase non ci manca.

Federico Formisano

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